5 maggio 2012 – CDT
Uno degli sport più un voga di questi tempi consiste nell’attaccare la Svizzera; le nostre autorità sono troppo compiacenti e, spesso, anche i media collaborano. Ora ci si mette anche Amnesty International e, purtroppo, anche il CdT ci casca. È perfettamente legittimo dedicare due pagine (CdT del 24 aprile) al rapporto di Amnesty sulle discriminazioni; meno giustificabile è la scelta di pubblicare l’intervista a Marco Perolini, esperto di Amnestyy, senza alcun commento, nonostante i colpi sotto la cintura che Perolini sferra alla Svizzera ed alle sue istituzioni.
Il lavoro di Amnesty è certamente lodevole, ma spesso ho avuto dubbi sull’imparzialità dei suoi rapporti; ora ho l’evidente conferma che non tutti si suoi collaboratori sono fededegni.
Come detto, sul CdT del 24 aprile, Perolini, si esprime sulle (vere o presunte) discriminazioni di cui soffrono i musulmani in Svizzera. Egli afferma che «nel vostro Paese non esiste una legislazione che vieti esplicitamente la discriminazione» e dice pure che «questo è un problema molto grave ». Affinché il lettori non vengano ingannati da una simile amenità, ricordo che l’art. 8 della Costituzione svizzera recita: «Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell’origine, della razza, del sesso, dell’età, della lingua, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche, e di menomazioni fisiche, mentali o psichiche ». Lascia poi allibiti la sua dichiarazione secondo cui il divieto di costruire minareti rappresenta «un’evidente discriminazione » e «richiede una riflessione urgente per riformare il meccanismo che regola le iniziative popolari». Innanzitutto Marco Perolini, salvo errore, è cittadino di un paese che ha un governo formato da ministri che non sono mai stati eletti da nessuno e quindi avrebbe potuto avere il buon gustodi lasciar perdere di pontificare e disquisire sulla nostra democrazia. Se, comunque, una revisione dei meccanismi che regolano i diritti popolari dovesse entrare in linea di conto, tale revisione verrebbe sottoposta al voto popolare e non ho dubbi che i cittadini svizzeri affosserebbero qualsiasi tentativo di andare nella direzione auspicata da Perolini, come hanno affossato i minareti. Così è la democrazia. Ricordo comunque a Perolini che la corte di Strasburgo ha dichiarato irricevibili due ricorsi contro la decisione popolare sui minareti. I ricorrenti ritenevano che il divieto fosse discriminante e violasse la libertà religiosa secondo gli articoli 9 e 14 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma la corte di Strasburgo non la pensa così (ma, anche in caso contrario, non sarebbe cambiato nulla, poiché, come ha rilevato la stessa corte, spetterebbe, comunque, alle autorità giudiziarie svizzere sentenziare su eventuali presunte discriminazioni). Più in là Perolini afferma che «le autorità debbano astenersi dal vietare in generale gli abiti o i simboli religiosi o culturali nelle scuole ed in altri ambiti».
Immagino che Perolini sappia che in Svizzera le autorità fanno quanto decide il popolo, e non il contrario, per cui vedo male che le autorità possano decidere quanto si augura l’intervistato, che, evidentemente, ha un concetto della democrazia (parola che, ricordo, significa «governo del popolo ») diverso dal nostro. Comunque, quando un allievo entra nella mia classe con il berretto in testa (attenzione: ciò fa parte della cultura giovanile del momento), fa il piacere di toglierselo; quindi, se dovesse entrarmi in classe una ragazza con il velo dovrebbe toglierselo o cambiare scuola; non discrimino nessuno e nessuna cultura: il copricapo se lo tolgono tutti, maschi e femmine, cristiani e musulmani, bianchi e neri. E ciò vale anche per il burqa su cui saremo chiamati presto a votare (cosa che, naturalmente, non sta bene a Perolini). Dal collo in giù, nei limiti della decenza, ti vesti come vuoi, ma la faccia, in pubblico, me la mostri, per favore.
Un altro punto che lascia di stucco è la citazione secondo cui «solo» 2.000 donne in Francia portano il velo integrale, per cui questo non sarebbe un problema; ma poi, incredibilmente, dice «non è possibile dimostrare che tutte queste donne portano il velo integrale a seguito di pressioni nell’ambito familiare» il che è un’ammissione implicita che per la stragrande maggioranza è proprio così, ma Perolini non se ne preoccupa: è più importante lasciare la libertà di portare il burqa alle venti musulmane che lo portano volontariamente che impedire che le altre 1.980 vengano costrette a farlo. Inaudito. Se questa non è discriminazione….
Non so cosa abbia portato Amnesty International a fare indagini sulla discriminazione dei musulmani in Svizzera (niente di più importante da fare?); quello che è certo è che i risultati di queste indagini, ben pubblicizzate dai media, non fanno altro che esasperare la stragrande maggioranza dei cittadini che reagisce poi in senso contrario a quanto auspicato da Amnesty International. D’altra parte come dare torto ai cittadini svizzeri e ticinesi che hanno ragionevolmente pensato che prevenire è meglio che curare e quindi hanno fatto tesoro di ciò che succede in Francia ed in Gran Bretagna, che hanno quartieri in cui la polizia non ha più giurisdizione poiché lì vige la legge islamica con i relativi tribunali; ora questi paesi si pentono amaramente di non averci pensato prima. Noi lo stiamo facendo: è proprio di ieri la notizia che il Consiglio di Stato di Basilea conferma la decisione di non dispensare dal nuoto scolastico le allieve musulmane. Niente minareti in Svizzera e, sicuramente, presto, niente viso coperto in Ticino; così ha deciso e deciderà il popolo e sono convinto che nessun musulmano pacifico, democratico e desideroso d’integrarsi si scandalizzi per questo e se ce ne sono che si scandalizzano, allora sì che c’è da preoccuparsi.
Un’ultima piccola nota: mi farebbe piacere che Amnesty International si scusasse per le fuorvianti (eufemismo) affermazioni del proprio collaboratore.
Edo Pellegrini, Presidente UDF Ticino