INTERPELLANZA
9 novembre 2020
Questa seconda ondata di Covid-19 iniziata a settembre ha dimostrato che ci siamo fatti trovare alquanto impreparati in tutta l’Europa e anche in Svizzera. Durante l’estate, che piaccia o no, ci siamo un po’ tutti rilassatisenza valutare veramente la portata di una seconda ondata e i suoi effetti.
Ad ogni modo si presentano ancora una volta alcuni quesiti che sembrano non essere stati risolti nemmeno nella fase 1. Saranno questioni di interesse economico, anche se la salute pubblica dovrebbe essere al primo posto,saranno questioni diplomatiche o di relazioni con l’Unione Europea, ma ancora una volta ci troviamo con il “viavai” alle frontiere nazionali senza alcun controllo medico di routine. Da giorni la Regione Lombardia e il Piemonte sono in zona rossa, questo significa, dalle disposizioni del Governo italiano, che i cittadini non possono neanche più spostarsi tra comune e comune senza validi motivi e questo è tutto dire sulla severità e serietà della situazione.
Ci troviamo a confrontarci con un flusso consistente di lavoratori italiani che ogni giorno entrano ed escono dal territorio elvetico, così pure come residenti, indigeni e stranieri di passaggio, che dal Ticino si recano oltre confine anche per motivi di lavoro.
Covid-19 come tante altre patologie non ha confini e quindi risulta difficile pensare che vi siano persone in transito giornaliero da e per il Ticino immuni. Tant’è che anche da parte delle autorità italiane qualcuno ha sollevato il problema inerente il luogo potenziale di contagio da parte dei lavoratori italiani. Il discorso ovviamente va considerato anche in Ticino se molte persone toccate dal virus siano state esposte da colleghi d’oltre confine in azienda, oppure dall’azienda, ticinesi, abbiamo contagiato qualcuno proveniente dall’Italia. Così facendo, senza uncontrollo medico mirato anche sulle frontiere, non potremo mai arrestare il viavai di Covid-19 di qua e di là dai confini nazionali.
Nell’Info-point di settimana scorsa, si è appreso che il Cantone Ticino ha chiesto alla Confederazione di potenziare i controlli alle dogane, ma sembrerebbe solo dal punto di vista della mobilità e relativi permessi. Sul potenziale controllo medico o eventuali certificazioni sanitarie, anche a campione o random, nessuno ha detto nulla
Di fronte a queste restrizioni e al rischio ormai consolidato di contagio da passaggi transfrontalieri sia in entrata dall’Italia, come in uscita e considerato che il virus sembra faccia qua e là come una pallina da “ping pong”, (fortemente colpite le regioni del Comasco e Varesotto) chiediamo al Consiglio di Stato:
- A differenza della primavera scorsa, come ci si vorrebbe comportare alle dogane, sebbene di competenza federale, sulla questione dei controlli sanitari da e per il Ticino? (richieste di certificazioni o controlli casuali con test rapidi e/o misurazione temperatura corporea a random)
- Che tipo di richieste e certificazioni mediche o controlli ha richiesto il Cantone nei confronti dei datori di lavoro che impiegano manodopera transfrontaliera in azienda?
- Nel caso dell’aggravarsi della situazione in Italia e quest’ultima dovesse decidere di “precettare” parte del corpo socio-sanitario italiano che lavora in Ticino, come si riorganizzerebbe il sistema sanitario cantonale? Vi è unpiano o delle misure d’urgenza per far fronte a tale situazione? Se sì quali? Se no, perché non si è pianificato questa possibilità?
Tiziano Galeazzi
Guscio – Pellegrini – Soldati – Tonini